Il 16 Novembre è uscito per Slow Food Editore “Alle radici del Barolo”, un racconto sulle origini più antiche di questo vino riconosciuto in tutto il mondo come icona dell’eccellenza enogastronomica italiana
Il libro si muove dalle note storiche relative alla sua nascita, così come dalle sue prime attestazioni: una storia fatta di carte d’archivio, documenti e appunti, che si intreccia con le vicende politiche italiane del tempo.
Gli aneddoti sono interessanti: nel 1751 il nome “Barol” compare in un carteggio tra l’inviato piemontese alla corte inglese e un funzionario dello stato di Sardegna. Parte un trasporto dal Piemonte verso l’Inghilterra che però è maldestro e il vino viene consegnato alterato, motivo per cui gli Inglesi rivolgeranno le loro attenzioni ai vini siciliani e bisognerà attendere la seconda metà dell’ Ottocento ( e anche la costruzione della strada per unire Torino e Nizza tramite Cuneo) prima che nasca il “Barolo”.
A dar voce a questa interessante ricostruzione è Lorenzo Tablino, storico del vino e per anni enologo di Fontanafredda, che nel suo complesso lavoro a tratti archeologico, tra archivi e mura di antiche cantine, ha tracciato una linea che passa inevitabilmente dal successo del Barolo su scala internazionale, avvenuto soltanto negli anni Novanta dello scorso secolo, retrocedendo verso annate e periodi storici molto lontani dal prestigio di cui il vino gode attualmente.
Le suggestive fotografie di Clay McLachan e le parole di Armando Castagno, giornalista ed esperto di vino, accompagnano il lettore alla scoperta di dieci cantine in attività da prima del 1861 che ancora oggi producono Barolo: Fratelli Alessandria, Borgogno, Burlotto G.B., Cordero di Montezemolo, Fontanafredda, Umberto Fracassi, Marchesi di Barolo, Poderi Marcarini, Poderi Oddero, Rocche Castamagna, accomunati entro un’interessante prospettiva che collega l’attività contemporanea alle profonde radici ancorate nel passato, e che mostra in che modo i diversi protagonisti di questo scenario si misurino con un’eredità così importante.
Nell’introduzione di Carlo Bogliotti si legge: “Le radici di un vino, per come lo conosciamo oggi, non stanno soltanto nelle terre da cui trae nutrimento la vigna e nella loro composizione. Stanno, ovviamente, nel lavoro secolare di contadini e vignaioli e si arricchiscono di personaggi centrali per l’evoluzione del vino stesso, fino a ciò che oggi rappresenta.
Sono un insieme di relazioni che si intersecano nel tempo, a volte prendendo strade inaspettate e decisive per il futuro. Il Barolo oggi è uno dei vini più prestigiosi al mondo,
ma non è sempre stato così. Il successo su scala internazionale risale solo agli anni Novanta del secolo scorso. È stato quindi un lavoro complesso quello di Lorenzo Tablino nella sua introduzione storica, un lavoro a tratti archeologico, tra archivi e muri di antiche cantine.
A differenza di suoi omologhi per prestigio, capacità di invecchiare e presenza sulle migliori tavole del pianeta, il Barolo cresce, si trasforma, spesso in silenzio, sottotraccia, in un territorio per certi versi magico, ma per anni caratterizzato sostanzialmente dalla povertà (a tratti estrema) dei contadini.. La storia racconta di un vino profondamente diverso da quello rinomato di oggi, e permette di individuare una decina di cantine in attività già prima dell’Unità d’Italia. Naturalmente, come in tutte le ricerche storiche, ci si basa sulle fonti finora reperite. Questo vuole essere un primo tentativo, l’apertura di una via che altri potranno arricchire, completare, verso la ricostruzione di un qualcosa di epico che non può e non deve perdersi.
Racconti di famiglia e di famiglie che hanno vergato la storia e le colline con il sudore della fronte, l’inventiva, la capacità agronomica o imprenditoriale.
È affascinante e incredibile allo stesso tempo scoprire quanto nel tempo il protagonista di queste pagine si sia trasformato. Da vino “marsalato” di gusto anglosassone a fuoriserie dei prodotti enologici, in cui ogni collina, ogni anno, esprime un diverso risultato in bottiglia conquistando nasi e palati ovunque. Poi, la moda “internazionale” con l’uso della barrique per colpire i grandi critici del vino, soprattutto statunitensi, per fare concorrenza ai cugini francesi, in antitesi con chi ha sempre sostenuto una primogenitura del terroir langarolo, con la sua ricchezza e le sue sfumature. Quei “tradizionalisti” che oggi sembrano aver avuto la meglio, con una nuova onda che guarda ai nonni come maestri, che rende giustizia alla complessità del prodotto e alla sostenibilità del lavoro in vigna, mettendo al centro il rispetto per una terra tanto generosa.
Chissà dove ci porterà questa storia, che sicuramente ha avuto il merito di garantire benessere ai suoi principali attori e alle Langhe tutte, ma anche ai territori limitrofi.”
Il libro è stato presentato il 10 Novembre alle ore 18 presso la Banca D’Alba (Via Cavour 4, ALBA) con gli autori e Chiara Cauda, direttore editoriale di Slow Food Editore.
Very Wine Confidential. Very Food Confidential.