Opera Ingegno e Creatività: lo chef Stefano Sforza presenta un menu dedicato alle Brassicaceae e il sommelier Carlo Salino abbina ogni piatto al vino perfetto.
Al Ristorante Opera Ingegno e Creatività di Torino, affiancato al menù identitario della cucina dello chef Stefano Sforza, viene proposto un menù completamente dedicato alla famiglia delle Brassicaceae, la famiglia di broccoli, cavoletti di Bruxelles e cavoli. “Ho deciso di proporre un menù di questo tipo per avere più profondità gustativa e più spazio per sperimentare. La scelta di questi ortaggi va in controtendenza con quella di elementi molto sdoganati e onnipresenti in cucina in questa stagione, come la zucca”. Il menù comprende sei portate, dall’antipasto al dolce, che immerge il commensale in un viaggio alla scoperta di questi ortaggi, protagonisti dei piatti, sdoganando l’idea che tendenzialmente si prestino ad accompagnare i piatti come semplici contorni.
Una bella sfida per il sommelier Carlo Salino: abbinare sapientemente dei vini ad un menù completamente vegetale.
Nominato Miglior Sommelier d’Italia da Identità Golose a marzo 2022, nato a Torino da mamma veneta e papà piemontese, Carlo ha coltivato la passione per il vino nelle esperienze che l’hanno portato in giro per il mondo, l’ultima delle quali in Australia, prima di approdare da Opera. Oltre alla conoscenza della proprietà, la famiglia Cometto, nella sua decisione di prendere parte a questo progetto ha influito in maniera importante l’impronta culinaria dello chef Stefano Sforza. Ama il vino che racconta il territorio, lo Champagne e le aziende che standardizzano il meno possibile. Mette al primo posto la cordialità e l’aspetto sensoriale in fase di degustazione, ha le idee molto chiare in fatto di professionalità e, in tema abbinamenti, dimostra di saper andare oltre il classico binomio cibo-vino.
Le scelte del vino da proporre ai suoi clienti rispecchiano la sua curiosità: per il cliente del territorio, predilige vini internazionali, che stimolino abbinamenti ancora sconosciuti, mentre per i turisti vengono proposti dei pairing nazionali, per permettere la scoperta del nostro territorio.
Per un menù, tutto vegetale, la scelta ricade su un’accurata selezione di 3 vini bianchi, che accompagnano gli antipasti, i primi, i secondi e poi una sorpresa per il dolce.
In questo periodo dell’anno, lo chef Stefano Sforza ha deciso di proporre il menù dedicato alle Brassicaceae sviluppato in direzione vegetariana, andando sempre di più verso il monoingrediente o la macrofamiglia di ortaggi. Durante l’anno vengono toccati, in base alla stagionalità, ingredienti vegetali come ad esempio il pomodoro e la zucca.
La spinta vegetale in alcuni casi amaricante ed in altre anche un po’ piccante (come accade con il cavolo nero) fa in modo tale che il menù proposto non sia un menù vegetale di facile abbinamento, ma Carlo stupisce e il suo lavoro riesce alla perfezione. Al tavolo ci dichiara: “A volte sarebbe più facile trovare delle strade un po’ più semplici con bollicine, sode, piuttosto che con la mixology che aiuta quando sono presenti questi sentori nel piatto”. Invece i pairing con cui giocare risultano divertenti, non convenzionali, con accostamenti a proposte semiaromatiche e aromatiche per creare discordanze con le acetiche e con le spinte amaricanti, che però lasciano una bella bocca piena che sostenga i piatti.
In particolare, la proposta di abbinamenti al menù Brassicaceae segue un percorso, che parte in una fase iniziale, con un vino leggero, sapido, molto magro che lascia molto delineato quello che si sta mangiando, per poi continuare sui primi, con una bottiglia aromatica per calmierare le spinte amaricanti e acetiche, per proseguire con uno Chardonnay da zone più vocate al mondo. Infine il dolce viene accompagnato da un sakè Junmai Ginjo: scelta anch’essa non convenzionale che si equilibra perfettamente alla portata.
Prima di entrare nel vivo del menù, in sala si comincia con un benvenuto: Chips croccanti di farinata, abbinate a una bevanda rifermentata probiotica (Kombucha) ottenuta dalla fermentazione del tè zuccherato, che avviene grazie al lavoro di colonie di lieviti e batteri selezionate che trasformano gli zuccheri in Co2 e acidità. In questo caso il tè di partenza utilizzato è a base darjeeling.
Si prosegue con degli amuse bouche: un ovetto in vetro borosilicato contenente alla base un tuorlo montato al burro di nocciola, su cui viene adagiata dell’ananas cotta nel barbeque ed una spuma di zucca a chiudere; perfetto accompagnamento al vassoio su cui in ordine sono disposte una royale di cavolo viola, un’assoluta di broccoli, una piccola sfera di parmigiano decorata con rapa rossa ed aceto balsamico ed una tapenade di oliva taggiasca cappata con del cioccolato bianco.
Tutto il menù Brassicaceae viene abbinato ad un piccolo cocktail complementare: un centrifigato di cavolo nero e cavolo verza blendato con pera decana.
Terminato l’assaggio di questi piccoli gioielli, si prosegue con gli antipasti, ai quali viene abbinato un Argile Blanc 2021 del Domaine des Ardoisiéres: un assemblaggio di Jacquere, Chardonnay, Mondeuse Blanche. Un vino proveniente dalla grande Savoia, dove emerge nel bicchiere tutta la freschezza, la sapidità della montagna, caratteristiche del clima freddo che rispecchia un’estrazione materica non elevata.
I piatti in abbinamento proposti sono:
Cavoletto di Bruxelles, mapo, nocciole – Base di battuta al coltello di cavolo di bruxelles e nocciola accompagnato da petali di cavoli di bruxelles brasati ed a completare un brodo di succo di mapo in aggiunta;
Giardiniera di cavolfiore – Base di crema di cavolfiore su cui vengono adagiate differenti genetiche di cavolfiori in infusione in differenti soluzioni: gialle per carpione alla curcuma, viola alla barbabietola, bianche al pepe e verdi con i soli gambi del cavolfiore stesso.
La scelta dell’abbinamento del vino molto snello lascia delineati i piatti apportando però un bel “condimento” (dato proprio dal sale).
A seguire, continuando il percorso verso i primi piatti, viene abbinata una Malvalsia di Skerk: un vino secco che segue una macerazione sulle bucce, non filtrato e non chiarificato che riesce perfettamente con i suoi sentori più fruttati e aromatici a calmierare le spinte amaricanti della cima di rapa ed acetiche dei lamponi.
I piatti in abbinamento proposti sono:
Papillon, cima di rapa, aglio nero – Papillon realizzati con una farina di grani antichi Senatore Capelli accompagnati da una base di crema di cima di rapa, una crema di aglio nero a base patata amaricante e acetica;
Fusillo, lamponi, cavolo viola – Fusillo da pastificio Pietro Massi, provenienza marchigiana da Senigallia, cotto utilizzando un centrifugato di cavolo viola in purezza mantecato con un aceto di lamponi accompagnato con cavolo viola (con una lavorazione simile al Kimchi – un piatto coreano) messo in pressione con sale e zucchero e condito con un po’ di aceto. il tutto completato da una grattuggiata di con noce brasiliana.
Passando al secondo, il vino cambia la sua funzione: Un Bourgogne Côte d’or di Pierre Morey. Un vino proveniente da una delle zone più vocate al mondo per i bianchi, uno Chardonnay 100% con passaggio di legno. Fresco, di corpo e anch’esso sapido. Un “piccolo Meursault” che sviluppa caratteristiche simili al suo fratello maggiore a livello di struttura e di potenzialità di maturazione.
L’abbinamento viene proposto con verza & pak-choi – altre 2 genetiche della famiglia Brassicaceae: un piatto composto da un semisfera formata alternando foglie di verza lessa e besciamella vegana chiusa in superficie da una foglia di verza croccante accompagnata dal suo contorno: una tarte farcita con una royale di pak-choi (tipologia di cavolo conosciuta per le sue acidità naturali). A completare una emulsione di centrifugato sempre di pak-choi.
Per il dolce invece si passa ad una scelta sorprendente: un sakè proveniente dal sud del Giappone, dalla prefettura di Wakayama, da un’azienda che si chiama Heiwa, una parola che significa Armonia. Sinomimo che si ritrova nel blend sakè Junmai Ginjo, una delle più alte classificazioni categoriali di questa bevanda, con vari frutti (in questo caso con lo yuzu – perfettamente abbinato per concordanza ai sorbetti di frutta e vegetali). Questi prodotti riportano minore estrazione materica e meno concentrazione alcolica (7 gradi) di un vino, facendo però emergere in maniera più importante le aromaticità del piatto.
Il dolce proposto è Broccolo, arancia, miele. Qui lo chef ha trattato l’ortaggio alla pari di un frutto, trasformandolo in sorbetto e utilizzando come dolcificante diverse tipologie di miele, tra cui il profumato ai fiori d’arancio.
Il menù Brassicaceae rivela una cucina netta, definita e incentrata sul sapore che ha come fil rouge la territorialità. È il risultato di anni di affinamento che hanno portato i piatti all’essenzialità, a snellire, lasciando solo gli ingredienti indispensabili alla preparazione e i sapori che esprimono la filosofia esatta dello chef Stefano Sforza.
Le scelte del Sommelier, in questo caso viranti verso l’estero, rispecchiano nell’abbinamento il suo lavoro di studio sulla carta, ricoperto dalla varietà geografica.
Una carta molto interessante e non convenzionale, composta da etichette italiane per il 65% e francesi per il 25% seguite da altre proposte australiane, neozelandesi, argentine, greche e tedesche per i bianchi, passando alla Spagna, Cile, California, Sudafrica e Georgia per i rossi. Tra i vini da dessert, vi è inoltre spazio per il sakè e per l’umeshu, liquore giapponese ottenuto dalla macerazione delle ume – una varietà acerba di prugne giapponesi – nell’alcool. Per ogni denominazione vitivinicola presente in carta, l’idea riscontrata anche in questo percorso, è quella di proporre al cliente sia un’etichetta tipica, tradizionale o conosciuta ai più, che una di nicchia o “stilistica”, come la definisce lui, per far scoprire un mondo ancora inesplorato ai più a chi mostra interesse nel conoscerlo. La stessa direzione etica intrapresa dalla cucina è quella imboccata dalla sua carta, con l’inserimento in menu di etichette biologiche e biodinamiche, termini che lui preferisce riassumere sotto il concetto di “rispetto in vigna”. Per Carlo, il vino dev’essere espressione del terroir e pedoclima attraverso l’uomo e non espressione del lavoro dell’uomo che sfrutta il terreno.
A conclusione di questa esperienza, non si può che non aspettare la prossima proposta vegetale stagionale dello chef Stefano Sforza e farsi guidare dagli abbinamenti, per i più curiosi, del giovane Carlo Salino.
Very Wine Confidential. Very food Confidential.